Sette e Ottocento
Santa Maria dell'Orazione e Morte

Le vicende storico-artistiche di questa chiesa son legate all’omonima Arciconfraternita la cui missione era il recupero delle salme abbandonate e la loro sepoltura.

Specifiche | Chiesa annessa-luogo di culto sussidiario della parrocchia di S. Lorenzo in Damaso |
Proprietà | Arciconfraternita venerabile di S. Maria dell'Orazione e Morte |
Affidamento | Clero diocesano |
Accesso | Aperta solo su appuntamento |
Bibliografia | M. Armellini-Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX-1891; C. Rendina - Le Chiese di Roma-Newton Compton-2004; Roma Sacra – Itinerario 12- Elio De Rosa editore-1998; Diocesi di Roma- Santa Maria dell’Orazione e della Morte-2020; F. Gizzi- Le Chiese di Roma del Sette e Ottocento-Newton-1995. |
Indirizzo | Via Giulia, 261 – Rione Regola |
Realizzazione | Eretta dalla confraternita omonima nel 1573 insieme all’oratorio annesso; fu riedificata nel 1737 |
Stile architettonico | Rococo |
Architetto | Ferdinando Fuga (1699-1781) |
da non perdere | Cripta |

Storia
La chiesa fu fatta costruire nel XVI secolo dalla Compagnia dell’Orazione e della Morte e sorge su un antico cimitero dedicato alla sepoltura cristiana delle salme abbandonate di sconosciuti.
Col tempo, la chiesa originaria si rivelò troppo angusta e l'Arciconfraternita decise di erigerne una nuova che fu riedificata tra il 1732 ed il 1737 su progetto di Ferdinando Fuga, egli stesso membro dell'Arciconfraternita dell'Orazione e Morte, il quale come ricompensa, chiese il diritto di sepoltura per sé e i suoi eredi. La chiesa un tempo aveva camere sepolcrali sotterranee che si estendevano fino al Tevere, dove furono sepolti circa 8.000 corpi in un periodo di oltre trecento anni.
Tuttavia, l’ubicazione del complesso nel centro della città rappresentava un grave pericolo per la condizione igienica della città in quanto gli ossari si allagavano ad ogni esondazione del Tevere. Durante l’occupazione francese nel 1808, iniziarono ad essere vietate le sepolture all'interno delle mura della città e, in seguito, l’epidemia di colera del 1837 pose fine definitivamente fine a tutto ciò.
Dal 1886 al 1910 la costruzione degli argini del Tevere comportò la distruzione di gran parte degli ossari, tranne quello sotto la chiesa; i resti che vi erano collocati furono inumati al Campo Verano.
Restauri generali dell’edificio sono stati effettuati nel 1867, 1975 e nel 1983-1984.
Esterno
La facciata settecentesca è a due ordini uguali per ampiezza e distribuzione, con la sezione centrale dove si apre il portale. E’ decorata con festoni, lesene, teschi e simboli macabri, Nelle piccole ali che fiancheggiano l’ordine inferiore vi sono due portali minori sormontati da finestre ovali. Spiccano due targhe graffite: quella sulla destra reca la figura della morte seduta che, tenendo una clessidra alata in mano, osserva un uomo morente sotto la quale si legge “Elemosine per i poveri morti che si pigliano in campagna": è questa la raffigurazione che il Belli chiamò come "la commaraccia secca de strada Giulia". La targa sulla sinistra raffigura uno scheletro alato con la scritta "Hodie mihi, cras tibi", vale a dire “Oggi a me, domani a te”, I teschi, le clessidre alate, gli scheletri e le iscrizioni costituiscono l’ammonimento morale alla riflessione sul tempo che fugge e all’inevitabilità della morte.
Il campanile presenta un'apertura ad arco su ciascuna faccia: ha una bassa cupola a ogiva in piombo, ed è posta ad angolo rispetto alla facciata sul lato inferiore sinistro della linea del tetto della chiesa.
Interno
La chiesa ha una pianta ellittica intorno alla quale si aprono radialmente il coro, i vani di ingresso e le quattro cappelle laterali.
Una cupola ovale sovrasta l'interno, caratterizzato da un susseguirsi di forme concave e convesse e finestre della stessa forma, decorate da ghirlande, teschi e conchiglie. Il pavimento è caratterizzato dalla presenza di numerose lapidi di membri dell’Arciconfraternita.
La prima cappella a destra è dedicata a S. Caterina d'Alessandria: presenta una pala d'altare raffigurante Lo Sposalizio mistico di S. Caterina, di autore ignoto di fine Cinquecento.
Tra questa cappella e quella successiva si trova l'affresco di S. Antonio Abate che incontra S. Paolo Primo Eremita, di Giovanni Lanfranco (XVII secolo).
Segue la cappella dedicata a S. Michele Arcangelo. progettata da Paolo Posi nel 1751, che presenta una pala con un dipinto eseguito da autore ignoto tra il 170 e il 1750, copia del S. Michele Arcangelo di Guido Reni in Santa Maria della Concezione dei Cappuccini.
Il rivestimento dell’abside fu realizzato con marmi provenienti dal giardino Farnese. L'altare maggiore è addossato alla parete di fondo, con la sua pala inserita in una nicchia fiancheggiata da quattro pilastri simili con i due esterni
ripiegati negli angoli. Sopra la trabeazione interna, che corre attorno all'abside e curva attorno a questi angoli, si trova un frontone triangolare su cui siedono due angeli in stucco che reggono una corona. Il dipinto della pala d’altare è una Crocifissione opera di Ciro Ferri, allievo di Pietro da Cortona (1680 ca.).
Passando al lato sinistro si trova la cappella dedicata a S. Giuliana Falconieri: la pala d'altare che la raffigura mentre prende il velo è di Pier Leone Ghezzi del 1737. Tra questa cappella e la successiva c'è una raffigurazione affrescata di S. Simeone Stilita, opera del Lanfranco. La cappella che segue è dedicata alla Sacra Famiglia. Sull’altare è posto il dipinto raffigurante il Riposo nella fuga in Egitto, databile alla fine del Settecento e opera di Lorenzo Masucci.
Nella sacrestia sono conservati alcuni dipinti tra i quali un S. Michele che sconfigge Satana attribuita a Raffaellino da Reggio (1576 ca.), un S. Michele che disputa con Satana sul letto di morte e S. Michele che salva un'anima dal Purgatorio opere di Giacinto Brandi (seconda metà del Seicento). Infine, una Deposizione anonima del XVII secolo.
Cripta
Nel corridoio sul lato sinistro della chiesa, dove sono murate numerose lapidi, si trova l’accesso al Cimitero sotterraneo dell’Arciconfraternita. Si tratta di una cripta che presenta due ambienti collegati da un portale aperto, uno dei quali fungeva da cappella e l'altro la sua anticamera. La cripta è quanto resta dell’antico cimitero dell’Arciconfraternita., distrutto in gran parte per edificare i muraglioni del Tevere, rimase in funzione fino all’Ottocento, accogliendo più di ottomila corpi raccolti nel fiume o nelle campagne. L'ossario è composto secondo moduli ornamentali barocchi e nell'Ottocento serviva da scenografia per le sacre rappresentazioni che si avvalevano anche di pupazzi a grandezza naturale ed in cera. Ancora oggi è possibile vedere ossa e scheletri che formano decorazioni artistiche di croci, sculture e lampadari, insieme a numerosi teschi, di cui alcuni che riportano sulla fronte l’anno di morte, la causa del decesso e il luogo del ritrovamento.

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